Un giorno il suo ego ruppe gli argini come fiume in piena, perché lei lo riconobbe come un dio sulle terrene orme : storia di mitici ricordi e selvatiche lune. Ma se non c’entrasse l’amore che sequestra i sensi, intrappolandoci, costringendoci a supplicare, a restare, a rendere tutto così complicato..sarebbe semplice, immediato, furtivo,solleticante, compiaciuto del solo istinto carnale.. Ma lei ascoltò per intero tutte le sue distillate parole per lungo tempo e come piccoli pezzi di stoffa colorata, di arlecchino la vestirono. Danzò nella notte ascoltando melodie traverse, godendo di note distanti dal suo essere fisico, trascinando quella bramosia di rivedere il suo volto, come specchio del suo stesso desiderio. Bevve acque sgorganti da fonti interminabili e sentì ogni sorso allargare la sua gola, come insospettabile abisso da raggiungere le sue gambe, ribaltandole per mirabolanti capriole. Versò nel mare tutto il suo ardore, come il fiume che trascina tronchi sporgenti, pezzi di roccia e catapultò draghe, palafitte, raccogliendo reti colme di pesci ancora guizzanti. Strappò le radici lungo gli argini per rinvigorirle nell’aspetto, per fortificarle nell’assesto. Seguì costantemente i percorsi delle volpi, fiutò l’odore dei lupi per scovarne le tane; non perse mai la direzione, segnata dal volo dell’aquila, non tradendo mai il “Signore del Giorno” e dormendo sempre tra i sogni custoditi dal “ Principe della Notte”. Ma all’improvviso smarrì la strada e per il ritorno, scavalcò dune sinuose di deserti interminabili, affrontando terribili tempeste di polvere fitta, vivendo nelle penombre di tramonti commoventi, piangendo il sale, tutto quello che aveva negli occhi e nel cuore , tanto da cristallizzare gli oceani.
Con la sua rabbia ne sgretolò il centro, scagliandogli sopra tutto il suo tormento, muovendo passi frenetici con melodie struggenti, invocando la pioggia per irrigare di nuovo quella terra così arsa per sentirsi bagnare ancora l’anima. E tutto quello che fece e tutto quello che non disse, solo perché lastricò la sua bocca di mute parole, serrando la sua lingua per non rivelare, quello che già l’Universo sapeva. Ritorna ancora il ricordo di quando era lei l’Universo tra le sue mani: un piccolo mondo nascosto tra le mura che di colpo svanivano come sipari e rituali platee si scorgevano in religioso silenzio.. ipnotiche presenze , ferme nell’aria e poi flutti di vento come applausi, scardinavano l'apoteosi, sciogliendo l’incantesimo, ogni volta, per incatenarla ancora..non essendoci mai attesa per il suo arrivo. All’improvviso il mare si capovolse, tutto inondò e le nuvole sotto ..a poco, a poco emersero come zattere per salvarle l’anima. Lei così semplice nella sua complessità e lui, così complesso nella sua semplicità.. come il cielo e il mare, nell’Eterno presenti, così materialmente diversi ma intercambiabili, come.. l’aria e l’acqua .
Un ciclo vitale interrotto dal ghermire di un rapace genuflesso che avido e panurgo ha traslocato il suo malessere trasmodato e ha trasversalmente agito, beffeggiando la trasparenza, coadiuvando l’atto a defraudare…immonda azione, putrefatta minugia con il precipuo scopo di predominare, frenando la forza pura, la fantasia vera, il sogno, il possibile, l’indefinibile, l’ensemble, l’interagire enfatico, l’universale emulsione. Ma se ora il sole sorge negli occhi dei talenti spenti, perché il rapace vola da colomba.. Esultino i più giusti e ogni lacrima diventi preziosa per la gioia di coloro che colpa non hanno, se non di amare la vita nonostante il disagio. Dunque che l’aria e l’acqua si dissolvano nel pantano per dare fiori di luce ….e niente più si dica o si voglia.
L BIANCO
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